sabato 30 aprile 2011

Settanta acrilico trenta lana di Viola di Grado



Settanta acrilico trenta lana
di Viola di Grado è una pubblicazione delle Edizioni E/O ed è stato presentato al Premio Strega da Serena Dandini e Filippo La Porta.







"Io sono quella col naso grande e i capelli lunghi neri, 
la carnagione chiarissima, no, più a destra, dico quella
con la frangia e gli occhi verdi, mi vedete o no?
Quella che sta guardando dentro il cassonetto, sì proprio quella.
Altro che storia della mia vita, la mia vita non ce l'ha una storia, 
di certo una storta, ma una storia no."

Trama:
Camelia vive con la madre a Leeds, una città in cui «l'inverno è cominciato da tanto tempo che nessuno è abbastanza vecchio da aver visto cosa c'era prima», in una casa assediata dalla muffa accanto al cimitero. Traduce manuali di istruzioni per lavatrici, mentre la madre fotografa ossessivamente buchi di ogni tipo. Entrambe segnate da un trauma, comunicano con un alfabeto fatto di sguardi. Un giorno però Camelia incontra Wen, un ragazzo cinese che lavora in un negozio di vestiti e che le insegna la sua lingua. Saranno proprio gli ideogrammi ad aprire un varco di bellezza e mistero nella vita di Camelia, attribuendo nuovi significati alle cose. Camelia si innamora di Wen, ma lui la respinge nascondendogliene il motivo. E c'è anche il bizzarro fratello di lui, ossessionato dall'oscura morte di Lily, un'altra studentessa di Wen…
 

Autrice:
Catania 1988. Viola Di Grado è figlia di Antonio Di Grado, italianista e  uno dei massimi studiosi di Sciascia e De Roberto, e di Elvira Seminara, scrittrice. Si è laureata in lingue orientali a Torino. È stata in Erasmus a Leeds. Ha viaggiato in Cina e Giappone e adesso si sta specializzando in filosofia cinese a Londra. Il suo primo romanzo Settanta acrilico trenta lana è stato pubblicato da e/o nel 2011.




Recensione:
Questo romanzo è un incontro inaspettato. E' come imbattersi in una vecchia amica che non si vedeva da tempo e scoprire che non è come ce la ricordavamo, che è cambiata, ormai è un'altra persona e niente potrà mai restituircela com'era.
Così avviene l'incontro del lettore con Camelia. Se alle prime battute ci sembra un personaggio familiare, una ragazza come tante, forse simile a noi, in poco tempo qualsiasi senso di familiarità sparisce.
Camelia ci spiazza, ci incuriosisce, ci spaventa.
Ci fa anche sorridere, ci piace vedere il suo modo unico ma efficace di comunicare con la madre, attraverso sguardi parlanti ma con parole mute; ci fa quasi pensare che quel modo sia molto più diretto delle troppe chiacchiere che spesso si sprecano.
Quando stiamo inziando a capire il personaggio, a comprendere le sue motivazioni, a accettare il suo  modo d'essere... ecco che quell'equilibrio viene rotto dall'entrare in scena di Wen, e dal  successuco cambiamento di Camelia, col recupero delle parole, da una situazione del tutto nuova...
E la storia continua così, a farci dondolare tra una parvenza di sicurezza e un nuovo scossone, fino al terribile finale.
E' una storia che vuole essere letta, le parole sono state usate alla perfezione, come se l'autrice sapesse che mettendole giù in quel modo, nessun lettore avrebbe potuto evitare di guardarle, soffermarcisi, leggerle fino alla fine.
E' uno stile nuovo, difficile ma al contempo davvero piacevole, che permette una lettura scorrevole ma permettendo al lettore di fermarsi a riflettere.
Sembra che ogni parola, ogni immagine abbia in sé anche il suo opposto. E sta al lettore riuscire a capire dov'è la verità.




Autore: Viola di Grado
Editore: Edizioni E/O
Prezzo: €16,00

martedì 26 aprile 2011

Penelope non ne può più, di Lisa Klimt



Toutes des Pénélopes!



Oh, Penelope... 
regina fondatrice della condizione femminile. Aspettando Ulisse davanti alla tua interminabile
opera sei diventata un mito, un esempio per tutte noi. 
Ti immagino mentre infili l'ago nella tua grande tela. 
E, rattoppando un buco, verso una lacrimuccia e grido:
"Ma che cazzo sta combinando Ulisse?"

Trama:
A chi somiglierebbe la Penelope di Ulisse se vivesse ai giorni nostri? A tutte le donne naturalmente!
Certe storie si ripetono attraverso i secoli. Come per esempio quella di Stéphanie, vittima della "maledizione di Penelope". La nostra eroina nella vita ha tutto quello che serve: è bella, ha un lavoro invidiabile in una prestigiosa casa editrice, un appartamento nel cuore di Parigi e tante amiche che si prendono cura di lei. Ma un filo misterioso la lega a un'epoca antica e a quella sposa modello che attendeva pazientemente il ritorno del suo Ulisse. Rispetto ai tempi di Omero, sembra che siano cambiati solo gli accessori: al posto del telaio Stéphanie inganna il tempo con il telecomando, mentre il suo Ulisse - fotografo di moda - va in giro per il mondo con uno stuolo di modelle. Aspettando che lui si faccia vivo, lei se ne sta tutta la sera sul divano davanti al televisore. A farle compagnia c'è solo Telemaco, il molesto cagnetto che il fedifrago le ha regalato per il loro anniversario. Finché un fatale incontro con un uomo a metà tra Brad Pitt e George Clooney, forse inviato da Zeus in persona, muterà il destino di Stéphanie, trasformandola nella vendicatrice di tutte le penelopi. Passate, presenti e future.

Autrice:
Nel web non si trovano notizie sull'autrice oltre a quelle rinvenute in quarta di copertina. anche cercando nei motori di ricerca francese, nessuno ci racconta altro sulla scrittrice né ci mostra qualche immagine...  queste le uniche informazioni: Lisa Klimt come la protagonista del romanzo, lavora in una casa editrice. Vive a Parigi con il suo compagno (ovviamente bello come un dio greco) e il suo cane, che l'hanno ispirata a scrivere questo romanzo.

Recensione:
Copertina frizzante, colori allegri, disegnini che attirano l'attenzione uniti a un titolo che fa immediatamente scattare una domanda dopo l'altra: chi è Penelope? Perché è così stufa? Cosa le è accaduto? ...e se fossi io, Penelope?
Avverto l'urgente bisogno di dare voce a quelle risposte, di dare un volto a questa misteriosa Penelope sperando che non sia davvero il mio, di ritrovare quei bei colori della copertina nella storia che leggerò. 
La prima risposta la cerco nel titolo originale: sono una lettrice che non ama soffermarsi troppo su trame e quarte di copertina (lo so, lo so, lo dico sempre... prima o poi deciderò di non dirlo più!) ma che sente l'assoluta necessità di conoscere il titolo originale di un'opera per iniziare a entrarci dentro... "Toutes des Pénélopes!": oddio, lo sapevo, ci sono anche io in questa storia, sentivo che sarebbe accaduto. 
E così vado incontro a Penelope come fosse una mia vecchia amica, come fosse una mia vecchia me, e mi lascio raccontare delle attese di fronte a una tela, o forse tele(visione)?, di un Ulisse sempre assente, con accanto un Telemaco un po' meno figlio un po' più terribile cane, accompagnata dal favore  -  a volte - delle amiche dee ma anche da qualche temibile personaggio nefasto. 
Penelope, nella vita Stéphanie, è una giovane donna che non riesce a reagire al compagno che la tradisce perché pensa di essere colpita, come la maggior parte delle donne, dalla maledizione di Penelope... la stessa maledizione di cui la mamma è stata vittima per tutta la vita. E non rinuncia al suo ruolo di donna tradita, messa da parte, trascurata perché crede che l'amore per Ulisse possa giustificare tutto. 
Ma quel mondo che la ragazza vede e comprende attraverso la mitologia le porterà presto nuove risposte, nuovi dei da ammirare o da temere, un nuovo Olimpo da conquistare. Fino a comprendere che le vesti di Penelope le stanno strette, e che ogni donna può trasformarsi in una stupenda e indipendente Psiche... sempre che incontri l'amore!

Ho un debole per le scrittrici francesi, perchè sembra guardino la vita da un punto di vista diverso dal mio eppure è proprio quel punto di vista che mi serve per poter osservare, comprendere, accettare ciò che fino a quel momento avevo trovato incomprensibile, inaccettabile, inammissibile. Lisa Klimt non si allontana dalle sue connazionali. Ci racconta una storia semplice e leggera, una storia che potrebbe sembrare poco originale se ci si limita alla trama (ok, l'ho letta la trama: ma solo a fine romanzo!). La sua bravura  è averla resa frizzante, giocando sulla mitologia, trasformandola in una storia universale, e rendendo i lettori - o forse meglio le lettrici - tutte possibili protagoniste delle sue parole. Toutes des Pénélopes!




Titolo: Penelope non ne può più
Autore: Lisa Klimt
Editore: Sonzogno Editore
Prezzo: €18,00

lunedì 25 aprile 2011

Nel mare ci sono i coccodrilli di Fabio Geda

Nel mare ci sono i coccodrilli rientra tra i fortunati (e meritevoli) 12 finalisti al Premio Strega. La sua candidatura è stata supportata da Valeria Parrella e Mario Sinibaldi.

"Ecco. Anche se tua madre dice cose come queste e poi, alzando lo sguardo in direzione della finestra, comincia a parlare di sogni senza smettere di solleticarti il collo, di sogni come la luna, alla cui luce è possibile mangiare, la sera, e di desideri - che un desiderio bisogna sempre averlo davanti agli occhi, come un asino una carota, e che è nel tentativo di soddisfare i nostri desideri che troviamo la forza di rialzarci, e che se un desiderio, qualunque sia, lo si tiene in alto, a una spanna dalla fronte, allora di vivere varrà sempre la pena - be', anche se tua madre, mentre ti aiuta a dormire, dice tutte queste cose con una voce bassa e strana, che ti riscalda le mani come brace, e riempie il silenzio di parole, lei che è sempre stata così asciutta e svelta per tenere dietro alla vita, anche in quell'occasione è difficile pensare che ciò che ti sta dicendo sia: Khoda negahdar, addio."


Trama: Prendete un bambino che non sa quando è nato. Immaginate che abbia un sorriso gentile e malinconico e una nutrita dose di ironia, e che intorno ai dieci anni cominci un viaggio verso qualcosa che non conosce, alla ricerca di un posto qualunque in cui crescere. Mettiamo che questo bambino sia nato nella provincia di Ghazni, nel Sud-est dell’Afghanistan, che appartenga all’etnia hazara, quella dai tratti mongolici, perseguitata da pashtun e talebani, e che il suo viaggio lo porti ad attraversare, oltre alla propria nazione, il Pakistan, l’Iran, la Turchia e la Grecia, per trovare, dopo cinque anni spesi in strada tra lavori improbabili, speranze impreviste e momenti drammatici, una casa e una famiglia in Italia. Se questo giovane afghano, che oggi ha vent’anni, avesse voglia di raccontare la propria storia a qualcuno che accetti di scriverla, che sappia farsi permeare dalle sue parole, masticando ricordi nel tentativo di restituirli al lettore con la stessa forza narrativa di un romanzo, rispettandone lo sguardo e le verità, e se incontrasse Fabio Geda, ecco che, allora, il risultato sarebbe questo libro. Un tentativo entusiasta e dialogico di ricucire i pezzi di una vicenda personale, quella di Enaiatollah Akbari, strappati via dagli eventi drammatici della nostra storia recente, tra Medio Oriente e Occidente. Brandelli di voci, di visi, di avvenimenti sparsi nelle stanze della memoria dall’incedere della vita. In un viaggio, cartina alla mano, che Enaiatollah Akbari ripercorre anche quando dimenticare sarebbe più semplice, e che racconta, ri-racconta, soprattutto a se stesso, ma con la speranza che tutti lo ascoltino.

L'autoreFabio Geda nasce a Torino nel 1972. Scrive su La Stampa circa i temi del crescere e dell'educare. Collabora con la Scuola Holden e con il Salone del libro di Torino. Esordisce nel 2007 con il romanzo "Per il resto del viaggio ho sparato agli indiani" edito dalla casa editrice Instar Libri ed è tradotto in Francia e Romania.
Il romanzo viene selezionato per il Premio Strega presentato da Valeria Parrella e Diego De Silva. Si classifica secondo al Premio Stresa di Narrativa. Si aggiudica il premio come Migliore Esordio al Premio Letterario Via Po di Torino, ed è il Migliore Esordio 2007 anche per la redazione della trasmissione radiofonica Fahrenheit che lo mette anche a disposizione in ascolto per non vedenti. Il libro viene anche selezionato dalla città di Cuneo come romanzo da proporre in lettura alle scuole.
Nel 2008 è uscito il secondo romanzo: "L'esatta sequenza dei gesti". Vincitore del Premio Grinzane Cavour e del Premio dei Lettori di Lucca.
In aprile 2010 è uscito il suo nuovo libro Nel mare ci sono i coccodrilli che racconta la storia vera di Enaiatollah Akbari, un giovane fuggito ancora bambino dall'Afghanistan, passato fra vicende estreme e approdato infine a Torino, dove ha ottenuto asilo politico ed è stato affidato a una famiglia che si prende cura di lui. Il libro è stato tradotto in 30 paesi ed è in preparazione un film prodotto da Cattleya.

Recensione:
Leggere una storia e credere sia opera della fantasia di uno scrittore. Continuare a leggerla e viverla come l'avventura di un bambino abbandonato dalla mamma, comprendere che quell'abbandono è per il suo bene, meravigliarsi della forza di quel ragazzino e della sua maturità. Provare stupore di fronte a ciò che deve affrontare, agli sfruttamenti cui è sottoposto, e restare senza fiato durante quel viaggio senza luce, aria, acqua e impossibilità di movimento.
E ancora sentire i primi barlumi di speranza, quando gli viene offerto qualcosa che non si aspetta e che neanche noi lettori ci aspettavamo, azzardare ottimismo verso esempi di bontà, rara ma esistente, e infine.
E infine comprendere che tutto ciò che mi è stato raccontato è solo verità, non è immaginazione, nessun autore con molta (e precisa) fantasia avrebbe potuto immaginare una realtà così dettagliata, così triste e a volte così speranzosa, così dura ma così, inaspettatamente sul finale, anche bella...
Fabio Geda ha saputo raccontarci una storia, la storia di Enaiatollah, come se fosse un racconto lontano, avvenuto in un'altra epoca e in un altro spazio, lasciando che il lettore si sentisse vicino a quel bambino immaginato... solo quando decidiamo di aprire gli occhi, di collegare il cervello e riconoscere quelle immagini così reali e contemporanee, solo allora ci rendiamo conto che quel bambino è qui, nel nostro spazio, e ora, nel nostro tempo, e che siamo solo molto fortunati se ciò che lui ha vissuto non è capitato a noi.

Titolo:  Nel mare ci sono i coccodrilli (Storia vera di Enaiatollah Akbari)
Autore: Fabio Geda
Editore: Baldini Castoldi Dalai Editore
Prezzo: €16,00

Fabio Geda racconta...

giovedì 21 aprile 2011

La città di Adamo di Giorgio Nisini





Prima recensione di un romanzo che è entrato nella rosa dei 12 finalisti al premio Strega.
Parlo de La città di Adamo, di Giorgio Nisini, pubblicato da Fazi Editore.


"Era questa la prova che noi umani avevamo anche altri sensi, potevamo intuire e vedere cose lontane se solo avessimo imparato a conoscere meglio noi stessi. Già, intuire e vedere cose lontane. Il mare o la tempesta in arrivo. Il presentimento meteorologico dei contadini. Mi sporsi ancora di più dal davanzale riflettendo su quante potenzialità c’erano nella nostra mente. Tanta energia di cui potevamo assumere il controllo e che
poteva aiutarci a diventare esseri migliori. 
Chiusi gli occhi cercando di captare dentro di me queste qualità segrete. Poi alzai il viso in direzione del sole. Annusai l’aria per un po’, alla ricerca di qualche odore o segnale
che mi desse una risposta accettabile. 
Forse era questa la strada che dovevo seguire: cambiare angolazione,
allentare la logica capziosa con cui avevo finora osservato il mondo, lasciare vagare i pensieri proprio come
mi aveva insegnato mio padre. 
Arrivare a lui ripartendo da lui."

Trama: Marcello Vinciguerra è un imprenditore agricolo di successo. La sua azienda, ereditata dal padre, è una tra le più importanti d’Italia. Ha una bella moglie, Ludovica, donna sofisticata e complessa, proprietaria di un negozio di arredamento e amante del lusso e del design, vive in una bella casa, conduce una vita – almeno in apparenza – piena di sicurezze. Una sera, però, un servizio televisivo dedicato a un potente boss della camorra fa riaffiorare nella sua memoria un ricordo dell’infanzia. E con il ricordo il dubbio. Quel boss era lo stesso uomo che lui e suo padre incontrarono, tanti anni prima, in mezzo a strani edifici a forma di cilindro? Chi era davvero suo padre? E quale ombra si nasconde nel passato della sua famiglia? L’inquieto affollarsi di queste domande spingono Marcello a una ricerca ossessiva della verità, che in una crescente spirale di avvenimenti – tra cui la scoperta di una misteriosa fotografia risalente ai primi anni Cinquanta e un breve viaggio in un’immaginaria cittadella camorrista – lo porterà a scontrarsi con un mondo inafferrabile e ambiguo, in cui tutti possono essere onesti o collusi, corrotti o corruttori.

Autore:

Giorgio Nisini è nato a Viterbo nel 1974. Laureato in Lettere presso l'Università degli studi di Roma "La Sapienza", ha conseguito un dottorato di ricerca in Studi di storia letteraria e linguistica italiana con una tesi dedicata all'opera di Pier Paolo Pasolini. Dal 2006 è docente a contratto in Sociologia della letteratura presso la Facoltà di Scienze Umanistiche della Sapienza. È autore dei romanzi La demolizione del Mammut (Perrone, 2008 - Premio Corrado Alvaro Opera Prima) e  La città di Adamo (Fazi, 2011).

Il suo primo romanzo, La demolizione del Mammut (Perrone, 2008), ha vinto il Premio Corrado Alvaro Opera Prima ed è arrivato tra i cinque finalisti del Premio Tondelli. 

Recensione: Per chi ha letto la trama prima di tuffarsi nel libro, sa già a cosa andrà incontro e potrebbe immaginare quel che accadrà, gli sviluppi che ci saranno nella storia. Per chi, come me, (lettrice che si rifiuta ostinatamente di leggere trame e quarte di copertina, per non farsi rovinare la lettura con nessun dettaglio anticipato) ogni romanzo diventa una vera e propria scoperta.
Il primo impatto con la storia è un televisore Brionvega, un modello "vintage" da installare in una casa moderna e sofisticata: attraverso questo televisore ci viene presentata la moglie del protagonista, Ludovica, la casa, la cultura, l'ambiente in cui Ludovica e Marcello (il protagonista che racconta la storia in prima persona) vivono. Un espediente che ho apprezzato immediatamente: raccontare notizie sulla famiglia attraverso un oggetto.
Qui ci si inizia a porre anche le prime domande (e siamo solo alle prime pagine): si tratta di una coppia molto ricca, che dà molta importanza all'avere più che all'essere? E' una coppia felice o stanno insieme per abitudine? E' una coppia sola, senza figli, per scelta o per impossibilità? e qualunque sia la risposta che proviamo a darci a queste domande, verrà sempre naturale porsi immediatamente una seconda domanda a tutte: Perché???
Il seguito della storia prende una deviazione, causata anche questa da quel Brionvega, che una volta installato e acceso, manda delle immagini del lontano passato di Marcello. L'attenzione perciò si sposta dalla coppia per concentrarsi sul rapporto figlio(Marcello)-padre(Vittorio, ormai deceduto) e sull'onestà di quel rapporto.
L'intero romanzo diventa una ricerca affannata del passato, perché solo dalle risposte che Marcello otterrà allora potrà comprendere veramente il suo presente. Il suo viaggio alla scoperta del padre sarà un viaggio alla scoperta della fiducia di un figlio verso i genitori, della fedeltà di chi gli è sempre stato accanto, degli ideali di un padre nella vita e nel lavoro, dell'amore di coppia... Marcello avverte la necessità di scoprire il passato si suo padre, perché sente che da quello dipende la sua fiducia nella vita, perché sa che se suo padre non è la persona che ha sempre pensato, tutto ciò in cui lui ha creduto potrebbe crollare.
E prima ancora di trovare le risposte e decidere il modo in cui affrontarle, Marcello inizia a far crollare le sue relazioni con chi lo circonda: famiglia, amore, lavoro. Mette tutto in discussione, si ritrova a dover affrontare ida solo i mostri del passato di suo padre. Ci aspetteremmo un finale "italiano", di quelli disillusi e pessimisti che non lasciano spazio al riscatto dell'uomo, che non permettono la speranza.
E invece.
E invece Nisini ci stupisce, lasciando che quei valori che stavano affondando vengano recuperati, lasciando che il nostro protagonista si faccia aiutare da chi lo ama per quella reinterpretazione del passato che avrebbe potuto cambiargli la vita, lasciando uno spiraglio di speranza: qualunque sia il nostro passato, dobbiamo accettarlo e vivere il nostro presente credendo in ciò che facciamo e siamo.
Le domande che ci eravamo posti alle prime pagine della storia troveranno la loro risposta, e sarà una risposta soddisfacente per noi lettori.

lunedì 18 aprile 2011

Finalisti Premio Strega


Come ho anticipato nel post precedente i 19 finalisti sono rimasti in 12:

 -L'energia del vuoto (Guanda) di Bruno Arpaia
 -Malabar (Guida) di Gino Battaglia
 -Nina dei lupi  (Marsilio) di Alessandro Bertante
 -La scoperta del mondo (Nottetempo) di Luciana Castellina
 -Ternitti (Mondadori) di Mario Desiati
 -Settanta acrilico trenta lana (e/o) di Viola Di Grado
 -Nel mare ci sono i coccodrilli (B.C.Dalai editore) di Fabio Geda
 -Il confessore di Cavour (Manni) di Lorenzo Greco
 -Storia della mia gente (Bompiani) di Edoardo Nesi,
 -La città di Adamo (Fazi) di Giorgio Nisini
 -A cosa servono gli amori infelici (Playground) di Gilberto Severini
 -La vita accanto (Einaudi) di Mariapia Veladiano

Questi i sette esclusi, cui verrà dedicato comunque uno spazio qui nel blog (alcuni di questi romanzi meritano davvero):

 -Mia madre è un fiume (Elliot) di Donatella Di Pietrantonio
 -Lo show della farfalla (Newton Compton) di Franco Matteucci
 -Francesco è pronto (e sposerà Tina Turner) (Il Papavero) di Gerardo Pepe
 -Aspetta primavera, Lucky (Socrates) di Flavio Santi
 -Emily e le altre  (Cooper) di Gabriella Sica
 -La calligrafia come arte della guerra (Transeuropa) di Andrea Tarabbia
 -Mangia la zuppa amore (Il Foglio) di Boris Virani

La calligrafia come arte della guerra di Andrea Tarabbia





Mentre iniziavo a leggere i primi finalisti al Premio Strega, è giunta la nuova comunicazione che dei 19 finalisti erano rimasti solo 12. Il mio dispiacere è stato immenso, quando ho scoperto che il libro che stavo leggendo, assaporandolo lentamente per poterlo custodire poi nei miei ricordi senza dimenticarlo, è stato tristemente escluso...
Purtroppo il mio amore per una lettura non serve a far vincere un premio Strega, ma può servire a rendere questo romanzo forse un po' più visibile di quanto sia stato finora, perchè La calligrafia come arte della guerra di Andrea Tarabbia, ed. Transeuropa, è un romanzo che merita di essere letto. 


 "Ma perché vanno proprio sulla luna? Chiedo. 
Vanno sulla luna perché la luna è il posto dove risiede l'anima degli uomini buoni: noi siamo fatti di corpo, che ci è dato dalla terra, di intelligenza, che ci è data dalla luce del sole, e di anima, e quella ce la dà la luna."

Trama: In una scuola posta al confine tra due stati in guerra, alcune bambine imparano "l'arte del messaggio, della disciplina e dell'amor patrio" calligrafando messaggi bellici sopra le testate dei missili. Sono orfane di una guerra di cui non si vede la fine, e le guida un maestro di calligrafia dal passato oscuro, Horatio. Sotto la scuola e la città che la ospita - il cui nome non è mai rivelato - c'è una seconda città speculare alla prima e le cui pareti sono dipinte di vernice al fosforo. Come in una spietata partita a scacchi, gli abitanti della città attendono la prossima mossa dell'avversario: un missile inoffensivo, che una notte porta al di qua del confine un misterioso messaggio. Il compito di interpretarne il contenuto è affidato a Horatio, ma non tutto andrà come dovrebbe.

L'autore: Andrea Tarabbia (Saronno, 1978), russista di formazione, è ricercatore presso l’Università di Bergamo. Con la Fondazione Mondadori ha curato la mostra e il catalogo Copy in Italy. Autori italiani nel mondo dal 1945 a oggi (Fondazione Mondadori/ Effigie 2009). È curatore di La lotta per nascere. Nove tesi su Antonio Moresco (Effigie 2010). Scrive sulla rivista «Il primo amore». Suoi articoli sono comparsi anche su «Liberazione», «Gli altri», «Nazione indiana».

Recensione: Iniziare a leggere questo libro induce immediatamente il lettore all'isolamento. Tutto ciò che c'è intorno a noi si spegne, ogni rumore si attutisce e ci si sente immediatamente parte di quel mondo che ci sembra così uguale al nostro, ma diverso in maniera inquietante; di quel tempo che sembra così vicino a noi, ma così indeterminato. Iniziare questa lettura provoca un'ondata di sensazioni: gradevoli, sgradevoli, familiari, fastidiose. 
Come reagire?
- abbandonando il romanzo insieme a quel senso di scomodità che porta con sé; 
- continuandolo, provando a capire le motivazioni, le conseguenze, le possibilità di affrontare ciò che non capiamo.
L'inizio non procede scorrevole: troppo lente le parole, troppo tempo per comprendere dove l'autore mi vuole portare... Quando poi ad un certo punto il ritmo diventa incalzante, veloce, velocissimo e non è più possibile staccarsene.
La storia si divide in due parti, la prima ambientata nella città di "sopra", che vive nella paura di una guerra in corso, di un possibile bombardamento, dove comuni cittadini, soprattutto ragazzine, danno il loro contributo imparando l'antica e complicata arte della calligrafia, con le sue regole, le sue verità, i suoi codici. L'atmosfera nella città e nella scuola è tanto irreale quanto ordinaria: persone abituate a svolgere quei compiti come se la vita fosse tutta lì, eppure si avverte tra le righe un'inquietudine diffusa. Ognuno aspetta l'inevitabile. 
E quell'inevitabile non si fa aspettare troppo, costringendo, come sua conseguenza, i cittadini a vivere nella città di "sotto", dove non c'è cielo, non c'è sole, non c'è aria... 
Se all'inizio aleggia inquietudine, ora prevale un senso di vera e propria claustrofobia. 
Non sto qui a raccontare il resto della storia, che va assaporata parola per parole senza tralasciare nulla. Sto qui a dire che in questa storia io ci ho trovato un romanzo da non sottovalutare (che non meritava certo l'esclusione dal premio strega). In alcuni momenti mi ha fatto sentire la stessa angoscia che ho provato leggendo Cecità di Saramago, in altri momenti la stessa ribellione che io lettrice ho provato nei confronti di Non lasciarmi di Ishiguro. Tarabbia sa scrivere e sa trasmettere. E le sue parole stanno lì per far riflettere, per non far evadere il lettore ma per farlo restare, per farlo decidere, per farlo agire.




Titolo:  La calligrafia come l'arte della guerra
Autore: Andrea Tarabbia
Editore: Transeuropa
Prezzo: €16,50

martedì 12 aprile 2011

Rassegna Premio Strega!

Eccoci giunti all'appuntamento consueto, in questo periodo, col Premio Strega. 
Appena vengono pubblicati i candidati al Premio, la mia curiosità schizza alle stelle, vorrei poter essere anch'io a poter decidere chi lo meriterà, vorrei poter aver letto tutti i candidati e pronunciarmi al riguardo. 
Perciò, quest'anno, ho pensato di dedicare i prossimi post del blog ai libri candidati. Un posto per ogni libro. 
I romanzi che ho avuto la possibilità di leggere verranno anche recensiti (e ringrazio le case editrici che hanno aderito con entusiasmo al progetto!), mentre per gli altri cercherò di redigere una scheda di presentazione. 

Ma ora, per iniziare, qualche cenno alle origini del Premio Strega:
Il Premio Strega è un riconoscimento che viene assegnato annualmente a un libro edito in Italia tra il 1° maggio dell'anno precedente e il 30 aprile dell'anno in corso. Dal 1983 è organizzato e gestito dalla Fondazione Bellonci.
Il Premio è stato creato nel 1947 all'interno del salotto letterario di Maria e Goffredo Bellonci, con il contributo di Guido Alberti, proprietario dell'omonima casa produttrice del Liquore Strega al quale il premio è intitolato e che ancora sponsorizza la manifestazione.
Inizialmente erano i suoi frequentatori, chiamati  Amici della Domenica ad eleggere il vincitore del Premio.
Nel dopoguerra, il salotto Bellonci e il Premio rappresentavano il primo tentativo culturale di tornare ad una normalità comunitaria di persone e di idee.
Il primo scrittore a ricevere il primo Premio Strega, nel 1947, è stato Ennio Flaiano con il libro Tempo di uccidere.
Dopo la morte dei coniugi Bellonci, la scelta del vincitore viene affidata ad un gruppo di 400 persone (coloro che compongono la giuria vengono ancora chiamati Amici della Domenica) che fanno parte del mondo culturale (nonché della società sponsorizzatrice e sicuramente alcuni ex vincitori) e che in due tornate definiscono i finalisti del Premio (scegliendo fra i titoli proposti dagli stessi 400 giurati, ogni titolo deve avere almeno il supporto di 2 giurati) e successivamente il vincitore. 
(Fonte: Wikipedia)

I 19 finalisti al momento sono:

1. L’energia del vuoto (Guanda) di Bruno Arpaia
2. Malabar (Guida) di Gino Battaglia
3. Nina dei lupi (Marsilio) di Alessandro Bertante
4. La scoperta del mondo (nottetempo) di Luciana Castellina
5. Ternitti (Mondadori) di Mario Desiati
6. Settanta acrilico trenta lana (e/o) di Viola Di Grado
7. Mia madre è un fiume (Elliot) di Donatella Di Pietrantonio
8. Nel mare ci sono i coccodrilli (B.C.Dalai editore) di Fabio Geda
9. Il confessore di Cavour (Manni) di Lorenzo Greco
10. Lo show della farfalla (Newton Compton) di Franco Matteucci
11. Storia della mia gente (Bompiani) di Edoardo Nesi
12. La città di Adamo (Fazi) di Giorgio Nisini
13. Francesco è pronto (e sposerà Tina Turner) (Il Papavero) di Gerardo Pepe
14. Aspetta primavera, Lucky (Socrates) di Flavio Santi
15. A cosa servono gli amori infelici (Playground) di Gilberto Severini
16. Emily e le altre (Cooper) di Gabriella Sica
17. La calligrafia come arte della guerra (Transeuropa) di Andrea Tarabbia
18. La vita accanto (Einaudi) di Mariapia Veladiano
19. Mangia la zuppa, amore (Il Foglio) di Boris Virani

sabato 2 aprile 2011

La ragazza gigante della contea di Aberdeen di Tiffany Baker

Non avrei voluto presentare la recensione di questo romanzo come ho fatto per gli altri, inquadrandolo in una trama, una copertina, una recensione. Questo romanzo è di più, è diventato mio dal momento in cui ho iniziato a leggerlo, togliendomi un po' di razionalità, sostituendola con una buona dose di felicità! Ma visto che è uun romanzo che merita davvero, è giusto che venga presentato in tutti i dettagli!

Trama: Quando la madre di Truly Plaice rimase incinta, l’intera cittadina di Aberdeen si riunì per scommettere sul peso del nascituro che era stato capace di deformare così tanto la donna da farle assumere proporzioni epiche.
La giovane Truly avrebbe pagato il prezzo della sua enormità.
Suo padre la incolpava per la morte della madre avvenuta durante il parto ed era assolutamente mal equipaggiato per crescere la figlia gigante e sua sorella maggiore, nonché suo esatto opposto, Serena Jane, la personificazione della perfezione femminile.
Mentre le notevoli dimensioni di Truly la rendono oggetto di curiosità e umiliazioni costanti, la bellezza di Serena Jane si dimostra essere una benedizione e una maledizione allo stesso tempo.
Il fatto di essere la più bella ragazza della città la farà infatti diventare l’ossessione di Bob Bob Morgan, il più giovane del clan dei Morgan, dottori di Aberdeen da generazioni.
Bob Bob darà il via a una catena di eventi che cambierà il destino dell’intera contea. Crescendo, in età e in larghezza, Truly si troverà sempre più legata al destino di Serena Jane diventando lei stessa uno degli obiettivi dell’intenso interesse di Bob Bob.
Scoprendo però il segreto della famiglia Morgan, il libro delle ombre vecchio di secoli, nascosto da Tabitha, prima moglie-strega del dottore, avrà la possibilità di trovare la chiave per il suo unico futuro possibile.
Armata dei pericolosi segreti del passato di Aberdeen, Truly affronterà presto decisioni morali in grado di cambiarle la vita.
Praticando i suoi rimedi curativi a base di erbe, si sentirà sempre più saldamente legata al cerchio della città, finché non verrà a conoscenza di una rivelazione così enorme da farla apparire minuscola.
Truly sarà costretta ad affrontare i propri demoni, ridefinire la pietà e prendere in considerazione la possibilità che l’amore non possa essere ordinato entro certe dimensioni.




Recensione: Mi hanno raccontato una favola stupenda. Senza principesse da salvare e principi su cavalli splendenti, senza magiche fate e draghi sputafuoco. Mi hanno raccontato di una morte, di una gigante, di una lotta, di un amore di una vita... e la favola era lì, tra quelle righe, tra parole che ferivano e gesti che curavano, tra presenze assenti e silenzi importanti.
E' la favola di Truly, e non ascoltate chi vi dirà che quella storia una favola non è, non ascoltate chi cercherà di convincervi che non si tratta altro che di tristezza e di temi importanti buoni solo a far riflettere: con Truly c'è da sognare, c'è da chiudere gli occhi e immaginare, lasciando che le immagini riempiano la nostra vista, c'è da credere che ogni "drago" verrà sconfitto, che ogni principessa verrà salvata, che ogni amore avrà il suo lieto fine. 
non è una storia che vi racconterò, perchè non ne avete bisogno: una favola non si riassume. Si apre il libro e la si legge, parola per parola, gustandola e assaporandola ogni secondo, senza saltare streghe e malefatte: tutto ciò che accade è necessario perchè quella stupenda favola diventi eterna. 
Truly ha acquistato quell'eternità nel mio immaginario: non riesco a dimenticarla, non riesco a non pensare a lei, non riuscirò a starne lontana. L'ho letta ma nei miei ricordi è viva: ha un volto, ha un corpo, ha la voce, si muove...
Truly vi incanterà, vi convincerà, vi permetterà di affezionarvi a lei e non vi abbandonerà, perchè insieme a lei scoprirete cosa vuol dire lieto fine di una favola. 


Sono troppo felice di aver letto questa stupenda storia.

Titolo: La ragazza gigante della contea di Aberdeen
Autore: Tiffany Baker
Editore: Zero91
Prezzo: 18,90€